A volte si fanno delle pazzie, e questa è stata una di quelle. Da anni sentivo parlare della Festa dei Serpari in occasione dei festeggiamenti di San Domenico Abate a Cocullo, piccolo paese incastonato tra le montagne abruzzesi. Ma il fatto che si svolga sempre il 1° maggio ha sempre reso difficile andarci.
Quest’anno, però, ho deciso all’ultimo momento di partire, affrontando quasi dieci ore di macchina tra andata e ritorno in un solo giorno. Appena arrivato, la sensazione è stata quella di trovarmi dentro qualcosa di antico e surreale. Il paese era gremito di persone, e ovunque c’erano serpenti vivi, portati al collo, tra le mani, sulle braccia.
Uomini e donne, giovani e anziani, camminavano tra le viuzze con una naturalezza incredibile, come se quei rettili fossero compagni di vita. In realtà, in un certo senso lo sono. I serpari li catturano con grande attenzione nelle settimane che precedono la festa, nelle campagne attorno al paese, e li tengono in casa con cura e devozione fino al giorno della processione.
È proprio in quel momento che tutto prende forma: i serpari si radunano davanti alla piccola chiesa del paese, ed è lì che avviene il gesto più emblematico — posare i serpenti vivi sulla statua di San Domenico, portata in processione tra la folla. Un gesto forte, visivamente potente, che affonda le radici nei riti pagani dei Marsi, quando il serpente era simbolo di rigenerazione, fertilità e sacralità naturale. Oggi, in chiave cristiana, è anche un atto di devozione verso San Domenico, che secondo la tradizione avrebbe avuto il potere di proteggere la popolazione dai morsi dei serpenti e di convivere pacificamente con essi.
Parlando con alcune persone del posto ho scoperto qualcosa che mi ha colpito molto: i serpenti sono animali estremamente territoriali, e una volta terminata la festa vengono riportati esattamente nel punto in cui erano stati trovati.
È un gesto che ha il sapore del rito, ma anche del rispetto.
Ci sono serpari che conoscono da anni gli stessi esemplari, raccolti sempre nello stesso campo, sotto la stessa pietra. Un legame invisibile ma fortissimo, che si rinnova ogni anno in questo piccolo paese che per un giorno torna a parlare la lingua arcaica dell’uomo e della natura.
