
“Sacralità in Pellicola”
IMMAGINI ANALOGICHEDALLA SETTIMANA SANTA
La Settimana Santa è un tempo sospeso, in cui il sacro si intreccia con il quotidiano e i gesti della tradizione si caricano di un’intensità fuori dal tempo.
Analog_trad vuole raccontare questa dimensione attraverso la pellicola, un mezzo che restituisce il senso della memoria, della ritualità e dell’attesa.
Le immagini che entreranno a far parte di questa selezione dovranno esplorare la sacralità non solo nei grandi riti pubblici, ma anche nei dettagli più intimi e nelle atmosfere di raccoglimento.
La grana della pellicola diventerà pelle, cenere, incenso; le luci e le ombre dipingeranno la spiritualità di volti, mani e processioni, restituendo l’anima di un evento che, pur ripetendosi ogni anno, è sempre nuovo e profondo.
Attraverso l’uso di tecniche analogiche, la fotografia non sarà solo documento visivo, ma evocazione di un sentire collettivo, di una fede che si manifesta nella materia e nel tempo. Sacralità in pellicola è un invito a riscoprire il valore della lentezza, dell’attesa e della contemplazione, elementi condivisi tanto dalla fotografia su pellicola quanto dalla dimensione spirituale della Settimana Santa.
ALBA CELENTANO
Processione Passione e Morte di Cristo
Fotografie di Alba Celentano
Nel Venerdì Santo di Napoli, qualcosa accade che non somiglia a nessun altro giorno. La città rallenta, respira in un altro tempo. Nelle strade strette e antiche, tra l’odore d’incenso e il rumore sommesso dei passi, si compie un rito che attraversa il corpo e lo spirito, lasciando un’impronta che resta.
Quella dei battenti, coperti da tuniche nere e incappucciati, non è solo una processione: è una veglia del cuore, una testimonianza silenziosa e potente della Passione. I loro piedi scalzi sull’asfalto parlano più di qualsiasi parola. In quel camminare assorto c’è una forma di abbandono e insieme di resistenza, una preghiera che si fa carne, che si fa ritmo lento e cadenzato.
Ciò che colpisce non è il gesto, ma lo spazio intorno al gesto. Il silenzio che avvolge. Gli sguardi che si abbassano. Il tempo che si ferma. La fotografia nasce lì, in quell’attimo in cui la luce accarezza una spalla, in cui l’ombra di un crocifisso si allunga sul muro. Ogni scatto è un modo per restare dentro quel momento senza spezzarne la grazia.
Napoli non fa da sfondo, partecipa. I suoi muri, le sue luci fioche, i suoi balconi muti diventano anch’essi battenti, fedeli, spettatori. C’è un senso profondo di appartenenza in tutto questo: alla terra, al dolore, alla memoria.
L’intento non è mai stato raccontare il rito, ma ascoltarlo. Lasciare che le immagini si generassero da sole, come affioramenti di un sentimento antico, condiviso. In quelle figure nere che camminano, nel passo stanco e solenne, si riflette qualcosa di universale: la fragilità, la fede, il bisogno di credere in qualcosa che continui a camminare, anche nel buio.
Alba Celentano è una fotografa campana con un forte interesse per i fenomeni sociali e religiosi, che esplora attraverso un approccio insieme antropologico e visivo. Nel 2021 ha conseguito la qualifica di Tecnico della Fotografia presso il CSF – Centro di Formazione Professionale di Melito di Napoli, affinando competenze tecniche che mette al servizio di una ricerca attenta e profonda sul campo.
La sua pratica fotografica si concentra su riti, tradizioni e dinamiche collettive, con l’obiettivo di restituire immagini capaci di raccontare l’identità culturale dei luoghi e delle persone. Il suo sguardo è sensibile, rispettoso e radicato in un desiderio di comprensione che unisce la forza del linguaggio visivo a una lettura critica del presente.
ALBANE BARRAU
When the Devils Danced
Fotografie di Albane Barrau
Era la mia prima volta in Sicilia. Ero venuta a trovare una cara amica. Insieme, abbiamo guidato da Palermo a Prizzi, attratte da una promessa singolare: danzare a U Ballu di Diavuli.
La domenica di Pasqua, al calar della sera, Prizzi diventa il palcoscenico di un carnevale straniante. Diavoli e figure della morte si aggirano per le strade, scortati da una banda di ottoni. Ballano e trascinano i passanti in una sarabanda gioiosa e disorientante. È un sapiente intreccio di tradizioni pagane che celebrano il passaggio dall’inverno all’estate e rituali cristiani che commemorano la resurrezione di Cristo. L’intero paese sembra sospeso tra due mondi: la vita e la morte, il sacro e il profano.
Mi sono lasciata travolgere dalla festa. Affascinata dal fervore che riempiva le vie medievali, correvo sui ciottoli, trasportata dalla musica, dagli incontri casuali, dall’energia grezza del momento. Ogni scatto era un tentativo di trattenere l’effimero. Ogni nota di ottoni ci avvicinava al cuore pulsante della celebrazione.
Quella notte, ho danzato con i diavoli e ne ho catturato alcune tracce febbrili sulla pellicola.
Albane Barrau (1998) è una documentarista, fonica e distributrice di cortometraggi francese. Laureata in cinema e appassionata di narrazione visiva, lavora tra suono e immagine, muovendosi agilmente tra produzioni indipendenti e progetti culturali. Il suo sguardo si concentra su riti, gesti e comunità, privilegiando un approccio intimo e analogico alla documentazione.
ALESSANDRO DIOGUARDI
24 ore di fede
Fotografie di Alessandro Dioguardi
Le immagini che compongono questa serie sono state realizzate a Trapani durante la processione dei Misteri, uno degli eventi religiosi più lunghi e suggestivi d’Europa. Per ventiquattro ore ininterrotte, dal Venerdì Santo al sabato successivo, venti gruppi scultorei — i cosiddetti “Misteri” — vengono portati a spalla lungo le strade della città, accompagnati dalle marce funebri delle bande musicali. Un fiume di fedeli e visitatori segue la processione, creando un’atmosfera sospesa, carica di emozione, in cui la città si trasforma in un teatro a cielo aperto, fuori dal tempo.
La sequenza fotografica prende il titolo 24 ore di fede, un nome che vuole evocare il lungo e intenso cammino compiuto da chi partecipa attivamente a questo rito della Settimana Santa trapanese. Le ventiquattro ore non indicano solo la durata fisica dell’evento, ma anche l’energia, la dedizione e la resilienza con cui ogni partecipante affronta questo atto di devozione.
In ogni volto, nei gesti lenti e rituali, si legge una fede profonda, che resiste alla fatica e alla notte, riaffiorando potente proprio quando il corpo sembra cedere.
24 ore diventa così simbolo di sacrificio e tempo vissuto con intensità; fede, la forza silenziosa che spinge a proseguire, passo dopo passo, fino alla fine.
Alessandro Dioguardi, 36 anni, è nato a Trapani. La sua passione per la fotografia è nata quindici anni fa a Madrid, passione condivisa con la ragazza che oggi è sua moglie.
Si trovavano al Mercado del Rastro quando incontrarono una coppia di fotografi che utilizzavano una cassa in legno per scattare ritratti: si trattava di un banco ottico con camera oscura, noto in Spagna come “cámara minutera”.
Da quel momento, la fotografia è diventata per lui una passione profonda e duratura.
Tornato a Trapani, Alessandro ha iniziato a costruire il suo primo prototipo di minutera, seguito da altri modelli successivi. Parallelamente, ha cominciato a studiare fotografia, sempre spinto da una passione autentica, avvicinandosi con umiltà al mondo del 35 mm e del 120 mm, da cui non si è più distaccato.
Attualmente scatta principalmente con una Yashica FX-3 Super 2000. Ama sperimentare nuove pellicole e tecniche fotografiche, con un interesse particolare verso i procedimenti più antichi.
ALESSIO CUTRÓ
Il tempo sospeso
Fotografie di Alessio Cutrò
Nel cuore del centro storico di Palermo, la Settimana Santa assume un carattere quasi sospeso, capace di fermare la frenesia cittadina e restituire alla strada un tempo lento, condiviso, rituale. Il progetto fotografico di Alessio Cutrò documenta questo straordinario momento collettivo attraverso gli occhi di chi osserva, cammina, partecipa.
Le immagini si concentrano in particolare sulla Processione della Confraternita di Santa Maria dell’Itria ai Cocchieri, una delle più antiche e sentite della città. Fondata nel XVI secolo, questa confraternita nasce come corporazione degli antichi cocchieri al servizio delle famiglie nobili palermitane, e ancora oggi custodisce con rigore simboli e rituali che raccontano di un passato profondamente legato al tessuto sociale della città.
In un’immagine significativa del reportage, si scorge anche un momento della Confraternita di Maria SS. Addolorata degli Invalidi di Guerra presso la chiesa di San Matteo al Cassaro: un uomo intento a cambiare una lampadina accanto alla statua dell’Addolorata. Un gesto semplice che esprime tutta la cura e l’intimità con cui queste celebrazioni vengono vissute.
Palermo si ferma. Il traffico si arresta, i rumori si affievoliscono, e lo spazio urbano si trasforma in un grande palcoscenico in cui fede, memoria e identità si fondono. È un “disagio” accettato, rispettato, atteso: la città accoglie la processione come un momento sacro che appartiene a tutti, al di là del credo personale.
Cutrò cattura anche la tensione sottile tra tradizione e contemporaneità: basti pensare al ragazzo che osserva la processione mentre guarda lo smartphone, segno inequivocabile di un presente che si intreccia con il rituale senza spezzarne la magia. In ogni scatto si percepisce questo incontro tra sacro e quotidiano, tra gesto antico e presenza attuale.
Alessio Cutrò si avvicina alla fotografia circa quattordici anni fa, seguendo il consiglio prezioso di uno zio che gli suggerisce di iniziare il suo percorso con la fotografia analogica. Per chi, come lui, ha vissuto la nascita e l’evoluzione del digitale, l’analogico si è rivelato una scuola fondamentale. Grazie ai primi rullini – spesso pieni di errori – ha potuto sviluppare una solida sensibilità fotografica e una maggiore consapevolezza nella gestione della luce e dell’inquadratura, imparando a scattare con istinto e attenzione, valorizzando ogni singolo fotogramma.
Cinque anni dopo, Alessio integra il digitale nel proprio lavoro, acquistando una mirrorless, ma resta fortemente legato alla fotografia analogica, che continua a praticare con passione. Oggi possiede una collezione di dieci macchine fotografiche analogiche, tra reflex e telemetro, frutto di un amore profondo per lo strumento e per la sperimentazione.
Nel 2025 scatta principalmente in digitale, ma porta con sé l’approccio e la sensibilità maturati grazie all’esperienza analogica, che ancora oggi guidano il suo sguardo fotografico e ne definiscono lo stile.
FRANCESCA FAZIO
Fede nella nebbia
Fotografie di Francesca Fazio
Il progetto Fede nella nebbia raccoglie una selezione di immagini realizzate durante la Settimana Santa del 2025 a Enna, cuore rituale della Pasqua siciliana. Le fotografie sono state scattate con una Canon AE-1, montata con un obiettivo fisso 50mm f/1.8, utilizzando pellicola Konica Minolta ISO 100 scaduta nel maggio 2008. Una scelta tecnica e poetica al tempo stesso, che imprime alle immagini una qualità imperfetta, morbida, profondamente evocativa.
Il titolo del progetto richiama un’atmosfera rarefatta e sospesa, in cui la nebbia e la luce soffusa si intrecciano ai gesti antichi dei riti pasquali, conferendo alla scena una dimensione spirituale e profondamente umana. A Enna, durante le processioni, la nebbia non è solo un fenomeno atmosferico: diventa elemento simbolico e narrativo, capace di amplificare il senso di mistero e raccoglimento.
Ma è anche una nebbia fotografica — quella prodotta dall’usura degli strumenti analogici, dalla pellicola scaduta, dai limiti della macchina — che trasforma l’imperfezione in linguaggio. Il velo lattiginoso che attraversa molte delle immagini non è un difetto, ma parte integrante della narrazione visiva.
Fede nella nebbia è, così, un viaggio dentro una devozione senza tempo, raccontata attraverso immagini in cui la materia si dissolve e resta solo l’essenza: un gesto, un volto, un frammento di silenzio che diventa eterno.
Francesca Fazio nasce a Enna il 15 giugno 1980, città dove tutt’oggi vive e lavora come architetto. La sua passione per la fotografia sboccia in adolescenza, coltivata inizialmente da autodidatta.
Il suo primo approccio al mezzo fotografico avviene attraverso una Canon AE-1 analogica, appartenuta al padre, con la quale inizia a esplorare il mondo dell’immagine. Durante gli anni della maturità si avvicina ai club fotografici locali, che le permettono di approfondire diverse tecniche e linguaggi fotografici. In questo periodo inizia anche a sperimentare la fotografia digitale, utilizzando una Nikon D90 e una Fujifilm X-T1.
Francesca predilige due temi in particolare: le feste religiose e l’architettura, in cui riesce a fondere il suo sguardo professionale con la sensibilità artistica.
FRANCESCO GULINA
Venerdì Santo a Enna: il silenzio, le fiaccole, la memoria
Fotografie di Francesco Gulina
A Enna, nel cuore della Sicilia, il Venerdì Santo non è soltanto una ricorrenza religiosa: è un rito collettivo, un’esperienza sospesa tra devozione, tradizione e memoria. Quando cala la sera, sedici confraternite marciano in silenzio tra i vicoli e le piazze della città, accompagnando i fercoli — o Vare, come vengono chiamati in dialetto — dell’Addolorata e del Cristo Morto.
Le confraternite sfilano in un ordine preciso, disposte su due file, illuminate solo dalla luce tremolante delle fiaccole. Marce funebri e canti sacri, eseguiti da bande e cori, scandiscono il passo lento della processione, mentre l’aria si riempie dell’odore di incenso e cera, creando un’atmosfera carica di emozione. Ogni confraternita, identificabile dal colore della mantellina e dai propri simboli, parte dalla propria chiesa di appartenenza per raggiungere quella dell’Addolorata, dove si compie un momento di omaggio solenne e carico di pathos.
Il percorso, che dal Duomo arriva fino al Cimitero cittadino, è un intreccio coreografico tra salite e discese, un attraversamento fisico e simbolico della città. La Benedizione al Cimitero rappresenta l’apice della processione, seguita dalla deposizione dell’urna del Cristo Morto nel Duomo e, infine, dal rientro del fercolo dell’Addolorata nella sua chiesa. È in quel momento che la processione si conclude, tra il silenzio e il respiro collettivo di un’intera comunità.
Per Francesco, che ha documentato questo rito attraverso l’obiettivo della sua macchina fotografica, la Settimana Santa ennese è anche un ritorno personale. Le sue immagini evocano i ricordi di quando da bambino osservava, con un misto di fascino e timore, le figure incappucciate sfilare davanti ai suoi occhi. Il suo progetto fotografico prova a restituire quella stessa dualità — la sacralità e l’ombra, la luce delle fiaccole e il mistero del silenzio — attraverso un uso sapiente dei contrasti e della profondità.
Uno sguardo che non si limita a documentare, ma cerca di custodire la memoria di un tempo che ancora oggi si rinnova, ogni anno, tra le strade di Enna.
Francesco Gulina nasce nel capoluogo di provincia più alto d’Italia e dopo 16 anni di nebbia siciliana decide di voler vivere l’esperienza della nebbia in val padana, trasferendosi a Milano, dove sopravvive da vent’anni.
Diplomato allo IED in Illustrazione e Animazione Digitale, dopo una prima esperienza come grafico, approda nel mondo della moda, settore in cui lavora come disegnatore tessile.Disegna da quando ne ha memoria, e da circa un decennio quasi esclusivamente dal vero: dai piccoli ritratti rubati in pochi minuti sui mezzi pubblici – o per le strade del capolouogo meneghino – alla copia dal vero durante le sessioni di nudo con modella.
Nel 2024 compra la sua prima macchina analogica – una Agfa Optima Sensor 335 – e appende al chiodo i suoi sketchbook per iniziare a ritrarre ciò che vede e ciò che lo circonda non più su fogli ma su pellicola.
FRANCESCO VINCENZO CAMPISI
Settimana Santa a Caulonia: il sacro che abita la comunità
Fotografie di Francesco Campisi
Le immagini che compongono questo progetto sono state realizzate durante la Settimana Santa a Caulonia, suggestivo borgo collinare della provincia di Reggio Calabria. Qui, la Pasqua non è soltanto un momento liturgico, ma un’esperienza collettiva in cui la comunità si ritrova attorno a riti antichi, ancora vivi e profondamente sentiti.
Protagoniste delle celebrazioni sono le statue sacre custodite nelle chiese del paese, che durante le processioni attraversano i vicoli stretti del centro storico, portate in spalla dai fedeli. In quei giorni sospesi, si crea una connessione intensa tra le figure sacre e la popolazione: non si tratta solo di assistere al rito, ma di esserne parte attiva. Uomini e donne indossano abiti della tradizione, camminano al fianco delle statue, vivono ogni gesto come parte di un’identità condivisa.
I vicoli, con la loro conformazione scenografica naturale, diventano teatro di una sacra rappresentazione che mescola fede e folklore in un equilibrio visivo e simbolico di grande forza. È proprio in questa fusione tra devozione popolare e sacralità che risiede il cuore del lavoro fotografico di Francesco Campisi: una ricerca che non si limita alla documentazione, ma che indaga la “convivenza” tra la comunità e i suoi simboli, tra lo spirituale e il quotidiano.
Le fotografie restano testimonianza di una fede vissuta e partecipata, di un legame profondo tra persone, territorio e tradizione. Un racconto per immagini che restituisce l’autenticità di un rito che, pur mutando nel tempo, continua a rappresentare l’anima collettiva di Caulonia.
Francesco Campisi, 22 anni, è nato e cresciuto a Caulonia, un piccolo paese affacciato sulla costa ionica calabrese. Si è avvicinato alla fotografia analogica all’età di 16 anni e, da allora, non l’ha mai abbandonata. Vive da quattro anni a Milano, dove studia Medicina e Chirurgia. Il suo approccio alla fotografia è rimasto strettamente legato al mezzo analogico — non tanto per una scelta purista, quanto per istintiva affinità e, come lui stesso ammette con ironia, una certa resistenza al digitale.
Nel corso degli anni ha fotografato soprattutto in viaggio, con una particolare predilezione per gli Stati Uniti, meta che ha frequentato spesso. Di recente ha realizzato Coreografie Cauloniesi, un progetto fotografico che si è poi trasformato in un fotolibro. Il lavoro esplora il fenomeno della tarantella ballata a Caulonia, concentrandosi sull’aspetto antropologico delle tradizioni popolari e restituendo, attraverso le immagini, un racconto visivo intimo e autentico.
GABRIELE MORETTI
Custodi del Silenzio
Fotografie di Gabriele Moretti
Il progetto Custodi del Silenzio è stato realizzato durante la Settimana Santa a Noicattaro, in provincia di Bari, con una Zenit ET e pellicola Ilford Delta 3200. Il lavoro si concentra sul complesso equilibrio tra i diversi ruoli all’interno della ritualità pasquale, osservando da vicino la gerarchia silenziosa che guida e custodisce i riti della tradizione.
Composto da sette immagini, il progetto si articola in due coppie fotografiche e una triade. Nella prima coppia, l’obiettivo si posa sul Parroco della Chiesa della Madonna della Lama, colto in un momento di raccoglimento, e su Paolo, uno dei coordinatori della Confraternita della Passione e Morte di Nostro Signore Gesù Cristo. Due figure diverse ma complementari, accomunate da una responsabilità condivisa nella custodia del rito.
La triade centrale è dedicata a colui che, durante la processione dei Misteri, guida con gesti misurati e discreti il cammino dei confratelli: una sorta di “direttore d’orchestra”, la cui presenza silenziosa è fondamentale per mantenere l’ordine e l’armonia del corteo. Al suo fianco, i compagni di cammino, uniti da un senso profondo di appartenenza e disciplina.
Chiude la serie una seconda coppia, incentrata su un Crocifero — figura centrale nelle processioni — e su un momento intimo condiviso con un familiare, colto mentre controlla la propria Croce all’interno della chiesa, in un gesto che racchiude devozione, attenzione e cura.
Attraverso uno sguardo discreto e poetico, Custodi del Silenzio esplora i legami invisibili che tengono unita la comunità nei giorni più intensi della propria tradizione, mettendo in luce la dimensione umana e rituale di chi, nel silenzio, custodisce la fede.
Gabriele Moretti è un fotografo professionista nato con una profonda curiosità per il rapporto tra l’uomo e il suo ambiente. Dopo aver completato gli studi universitari, conseguendo sia la Laurea Triennale che la Specializzazione, si trasferisce a Roma per dedicarsi interamente alla fotografia.
Al centro della sua ricerca visiva vi è lo studio del comportamento umano e delle sue trasformazioni in relazione al contesto geografico, sociale e culturale. Le sue immagini riflettono un’attenzione particolare per gli ambienti in cui le persone vivono e si muovono, indagando il legame invisibile tra spazio e identità.
Appassionato di cultura e tradizioni popolari, Gabriele documenta riti e consuetudini che ancora oggi sopravvivono in forme autentiche e cariche di significato. Il suo lavoro restituisce uno sguardo sensibile e rispettoso verso quelle espressioni del quotidiano che raccontano la memoria collettiva dei luoghi.
Oggi vive e lavora a Roma, dove collabora come fotografo con produzioni cinematografiche, operando nel reparto Fotografia. La sua ricerca personale continua a svilupparsi parallelamente alla sua attività professionale, in un dialogo costante tra osservazione documentaria e narrazione visiva.
GIULIA PESOLE
La Processione della Desolata. Il Sabato Santo a Canosa di Puglia
Fotografie di Giulia Pesole
Assistere per la prima volta alla processione della Desolata è un’esperienza unica e travolgente. Alle 7 di mattina, la piazza della Repubblica, nel centro storico di Canosa, è ancora semivuota, ma si sente il movimento sottile e sospeso, l’effervescenza di un qualcosa che sta per succedere. Poi tutto inizia ad organizzarsi: le transenne, la gente che arriva, figure che si muovono in un ordine ampiamente predisposto. Un po’ alla volta le donne, quest’anno 387, tutte vestite di nero, iniziano a disporsi nel punto di partenza. Complici, si salutano, parlano e si aggiustano. È il solo momento in cui è possibile vedere i loro volti.
Alle 9 circa il prete prende la parola, la folla ormai è tanta, chiede il silenzio. La banda inizia a intonare l’Inno alla Desolata, dalla chiesa di San Francesco e Biagio esce il simulacro di Maria, le donne abbassano il velo nero sul volto, segno di protezione del proprio dolore, e insieme intonano un lamento forte e struggente: lo Stava Maria Dolente, nella versione ispirata dello Stabat Mater attribuito a Jacopone da Todi.
Da qui inizia la processione, inerpicandosi e portando il canto tra i vicoli del centro storico. Partecipano al corteo insieme alle donne velate, bambine vestite da angeli, ministranti, ragazze vestite in viola con il fiore e la banda musicale, attualmente diretta dal maestro Giuseppe Terribile.
La prima edizione documentata del rituale di devozione mariana della Desolata risale al 16 aprile 1881, un anno dopo che la Confraternita di Nostra Signora della Salette, con sede nella chiesa di San Francesco e San Biagio, acquistò la statua.
Perché il sabato santo e non il venerdì? La scelta venne fatta per motivi pratici e logistici: il venerdì era occupato dalle processioni delle altre confraternite e non c’era modo di inserirne un’altra. Questa collocazione un po’ “marginale” ha contribuito al mantenimento del rito fino ad oggi. Inizialmente, il coro era composto da 40 donne (ispirato alla pratica delle “Quarant’ore” trascorse da Gesù nel sepolcro), che cantavano l’Inno davanti al sagrato, gesto rivoluzionario per l’epoca perché alle donne era proibito cantare in coro in chiesa, divieto ribadito da Papa Pio X nel 1903.
Il coro, arrivato nel tempo ad unire circa 400 donne, è stato guidato per oltre 50 anni dal maestro Mimmo Masotina, e dal 2016 dal figlio Ezio Mesotina.
Giulia Pesole si specializza in mediazione artistica e direzione di progetti culturali alla Sorbonne Nouvelle a Parigi e in pedagogia del movimento presso Choronde Progetto Educativo a Roma. Da anni si dedica all’approfondimento pratico e teorico delle danze tradizionali del Centro e Sud Italia ed è co-fondatrice del collettivo artistico RomaTrad.
Attualmente fa parte della compagnia Teatro del Mediterraneo basata a Roma e affianca la direzione artistica di ARTA – Association de Recherche des Traditions de l’Acteur, scuola di teatro e arti tradizionali a Parigi.
Accanto alla danza, la fotografia occupa un posto centrale nel suo percorso. Nel 2014 è assistente del fotografo e direttore artistico Marco Delogu per FOTOGRAFIA – Festival Internazionale di Roma e nel 2016 è mediatrice artistica per les Rencontres de la Photographie à Arles.
Appassionata di fotografia analogica, da anni fotografa quasi esclusivamente in pellicola.
GIUSEPPE PERRINA
Il Venerdì Santo di Vallata
Fotografie di Giuseppe Perrina
Nel cuore dell’Irpinia, a Vallata (AV), il Venerdì Santo si trasforma in un rito collettivo carico di spiritualità e memoria. La processione, tra le più sentite della regione, è una rappresentazione sacra che intreccia fede, identità e tradizione secolare.
Il corteo si snoda per le vie del paese con solennità e rigore. Apre la marcia un drappello di soldati romani in costumi d’epoca, seguito dai “misteri” — imponenti tele settecentesche e stendardi che recano le parole del Vangelo secondo Giovanni, scandendo visivamente le tappe della Passione di Cristo.
A rendere l’atmosfera ancora più intensa è il suono cupo e ritmato di trombe e tamburi, che accompagna il passo lento dei partecipanti, mentre un coro di cantori intona i versi struggenti della Passione di Pietro Metastasio, amplificando il senso di raccoglimento e partecipazione emotiva.
Il momento più toccante arriva con il passaggio del feretro del Cristo morto, portato con devozione dai medici del paese. Poco dopo, l’Addolorata avanza tra due ali di folla, circondata da bambine vestite a lutto con piccole banderuole nere: un’immagine di dolore composto e struggente, capace di toccare anche gli animi più distanti.
Giuseppe Perrina è un fotografo originario della provincia di Avellino. Si avvicina alla fotografia circa dieci anni fa, spinto da un forte interesse per l’architettura, il paesaggio e la natura. L’incontro con l’associazione fotografica Officina 35 mm di Benevento segna una svolta nel suo percorso: qui scopre il mondo della fotografia analogica, approfondisce le tecniche di sviluppo della pellicola e sperimenta la stampa su carta chimica.
La sua ricerca si concentra principalmente sul reportage, con un’attenzione particolare agli eventi e alle tradizioni popolari. Il suo approccio è discreto e rispettoso: osserva senza interferire, attendendo pazientemente il momento giusto per cogliere gesti, sguardi e atmosfere in grado di restituire l’autenticità dell’esperienza vissuta.
MARCO LEONCINO
Trapani, la lunga notte dei Misteri
Fotografie di Marco Leoncino
Nella città di Trapani, la Settimana Santa raggiunge il suo apice con la solenne Processione dei Misteri, una manifestazione tra le più antiche e suggestive della tradizione religiosa siciliana. Lenta, estenuante e profondamente partecipata, la processione attraversa le vie cittadine per oltre ventiquattro ore, dall’imbrunire del Venerdì Santo fino al tramonto del sabato.
Il lavoro fotografico di Marco Leoncino prende avvio nel 2014 e si sviluppa nel corso di diverse edizioni, maturando uno sguardo sempre più intimo e consapevole. Inizialmente concentrato sugli elementi più noti della celebrazione, il progetto evolve in una ricerca più profonda, orientata verso i momenti marginali e meno visibili della processione.
L’attenzione si sposta progressivamente dalle grandi folle ai vuoti della notte, quando la città si fa silenziosa e i portatori dei gruppi sacri — stremati dalla fatica — trovano rifugio temporaneo accanto alle statue che trasportano. In queste pause cariche di sospensione, il sacro si manifesta in forme sottili e quotidiane, rivelando una dimensione umana che sfugge alla spettacolarizzazione.
Un aspetto centrale del lavoro è la rappresentazione della coesistenza tra sacro e profano, cifra distintiva della processione trapanese. Il fotografo documenta con sensibilità i passaggi tra raccoglimento e tensione, tra spiritualità e gesti terreni, restituendo l’alternanza di ritmi che scandisce l’intero evento.
Particolare attenzione è riservata ai volti dei partecipanti: uomini e donne colti in momenti di concentrazione, devozione, fatica. Il ritratto emerge come linguaggio privilegiato, capace di dar voce a un vissuto collettivo attraverso sguardi e dettagli che raccontano molto più delle parole.
Marco Leoncino nasce ad Acqui Terme nel 1985. Dopo aver completato un Dottorato in Fisica nel 2016, si trasferisce in Germania, dove vive e lavora. Accanto alla carriera scientifica, coltiva una profonda passione per la fotografia, alla quale dedica gran parte del suo tempo libero.
Il suo interesse si concentra principalmente sul reportage sociale, con una particolare attenzione ai temi legati alla memoria, all’identità e ai riti collettivi. La scelta di lavorare esclusivamente con tecniche analogiche riflette un approccio meditato e artigianale alla pratica fotografica: un processo lento e consapevole che valorizza l’attesa, l’osservazione e la relazione con i soggetti.
Attraverso i suoi progetti, Leoncino indaga la dimensione umana degli eventi, cercando di restituire, con sguardo sobrio e sensibile, la complessità e la profondità del reale.
MARIOLINO LAUDATI
La Processione delle Croci di Calitri
Fotografie di Mariolino Laudati
Nel cuore dell’Irpinia, al confine con la Basilicata, il borgo di Calitri custodisce uno dei riti più toccanti e visivamente potenti della Settimana Santa: la Processione delle Croci, che ogni Venerdì Santo trasforma le strade del paese in un cammino di devozione collettiva.
Secondo la tradizione, l’origine di questo rito risalirebbe al tempo della Prima Crociata, quando un cavaliere, di ritorno dalla Terra Santa, avrebbe portato con sé una reliquia della Croce di Cristo. Da allora, ogni anno, il paese si raccoglie per rievocare quel gesto simbolico con una processione austera, scandita dal legno pesante delle croci portate a spalla dai fedeli.
Ma ciò che rende davvero unica la processione di Calitri non è soltanto la sua imponenza o l’intensità del pathos religioso che la attraversa. A renderla speciale è la presenza dei più piccoli: bambini che, spesso accompagnati dai genitori, portano croci più leggere, camminando fianco a fianco con i grandi. I loro passi incerti ma determinati, gli sguardi fieri e concentrati, raccontano una storia di trasmissione viva, di fede che si impara osservando, ascoltando, partecipando.
In quei gesti semplici si rivela il cuore della tradizione: una memoria collettiva che non si conserva nei musei, ma nelle vene del presente, in un rito che sa rinnovarsi senza perdere la propria autenticità. La partecipazione dei bambini non è una nota di colore, ma un vero e proprio passaggio di testimone, nutrito da racconti familiari, esperienze vissute, legami affettivi.
Nato nel 1974, Mariolino Laudati si appassiona alla fotografia fin da giovane, sviluppando nel tempo uno sguardo attento e narrativo. L’incontro con il lavoro di Gianni Berengo Gardin, avvenuto nel 2005, segna una svolta decisiva nel suo percorso: da quel momento inizia ad avvicinarsi alla fotografia di reportage, approfondendo lo studio dei grandi maestri del genere, tra cui W. Eugene Smith, Henri Cartier-Bresson, Josef Koudelka, Ferdinando Scianna e lo stesso Berengo Gardin.
Da questi autori trae una lezione fondamentale: la forza della fotografia come strumento di racconto, capace di restituire con immediatezza e profondità il senso di un luogo, di una storia, di un’umanità.
Predilige il bianco e nero e lavora quasi esclusivamente in analogico, tecnica che utilizza nel 95% dei suoi progetti. Il suo approccio, rigoroso e poetico al tempo stesso, si è consolidato negli anni attraverso la partecipazione a numerose mostre collettive e il conseguimento di importanti riconoscimenti. Laudati si è infatti classificato al primo posto in diversi concorsi fotografici, sia nazionali che internazionali, distinguendosi per uno stile coerente, essenziale e profondamente umano.
MARTINA SBORDONE
Umano, troppo umano
Fotografie di Martina Sbordone
Realizzato a Somma Vesuviana durante il Venerdì Santo, questo progetto fotografico di Martina Sbordone è un’immersione profonda nella dimensione emotiva e viscerale del rito. Un lavoro che ha richiesto tempo, presenza e una forte tenuta emotiva: «Nei momenti salienti – racconta l’autrice – ero piena di lacrime».
Il titolo, “Umano, troppo umano”, è una dichiarazione di intenti. La Madonna Addolorata, al centro del corteo, non è solo figura sacra ma una madre affranta, fragile, vicina: è carne, sangue, nervi, paure, sogni. La sua sofferenza diventa specchio di quella di chi la accompagna. Le mani si alzano verso il suo corpo come accade al Santo Sepolcro a Gerusalemme, dove i fedeli strofinano fazzoletti su una lastra sacra per poi asciugarsi le lacrime.
Sbordone osserva tutto questo con sguardo empatico e attento, cogliendo dettagli che compongono un teatro collettivo e inconsapevole. Uomini e donne, fedeli e confratelli, anziani e bambini: tutti recitano ruoli che non sono imposti ma interiorizzati. Le tuniche bianche si mescolano ai vestiti quotidiani in una danza rituale, fatta di gesti antichi, inchini, fiaccolate, spinte e silenzi.
Nel fluire lento della processione, ogni elemento si carica di significato: il suono cupo del sassofono, l’odore della cera, i roghi che scaldano gli anziani, gli stemmi, le vedove, i simboli medievali, le confraternite. Il bisogno di comunità, di sfogo, di memoria e spiritualità emerge in ogni volto, in ogni frammento di scena.
Martina Sbordone è una fotografa nata in terra sannita e partenopea d’adozione. La sua passione per la fotografia affonda le radici in una lunga eredità familiare: dal nonno al padre, passando per gli eventi della vita che l’hanno condotta a utilizzare la macchina fotografica come strumento di introspezione e scoperta.
In un primo momento, la fotografia era per lei un modo per “possedere” i momenti, fermarli e farli propri. Con il tempo, però, questo rapporto si è trasformato: la fotocamera è diventata un mezzo per vedere il mondo con i propri occhi, per esplorare e restituire la propria visione con autenticità e consapevolezza.
Laureata in Lingue e Culture Orientali e Africane, con specializzazione in arabo e swahili, ha alle spalle un percorso scolastico classico a Benevento e un’infanzia vissuta tra natura e silenzi nei Varoni di Montesarchio. Viaggiatrice appassionata, è profondamente sensibile alla bellezza — sia naturale che umana — e non smette mai di lasciarsi toccare emotivamente da ogni forma di manifestazione autentica.
Attraverso la fotografia, Martina Sbordone costruisce un dialogo tra sé e il mondo, tra intimità e osservazione, trasformando ogni scatto in una finestra aperta sul sentire.
SERAFINO TROVATO
RITI e RADICI
Fotografie di Serafino Trovato
Il progetto RITI e RADICI nasce dalla passione per la fotografia analogica e dal desiderio di raccontare, attraverso le immagini, la forza delle tradizioni popolari siciliane. Le fotografie sono state realizzate durante la Settimana Santa a Enna, un momento dell’anno in cui la spiritualità si intreccia con la vita quotidiana, trasformando il volto della città.
In quei giorni, Enna si riempie di silenzi, di passi lenti, di simboli antichi. Le confraternite percorrono le strade con abiti tradizionali, portando croci, statue e ceri accesi. È un rito collettivo che attraversa le generazioni, dove fede, identità e memoria si fondono in un’unica, intensa esperienza.
Con uno sguardo semplice e personale, Serafino Trovato si sofferma sui volti coperti, sui gesti ripetuti, sui dettagli nascosti, alla ricerca di una verità più profonda: quella delle radici che tengono unita una comunità, quella dei riti che resistono al tempo e continuano a dare senso alle cose. Le immagini si fanno così strumento di memoria, capaci di restituire la forza silenziosa della tradizione e il legame invisibile che unisce le persone nei momenti più intensi della vita collettiva.
Serafino Trovato è un fotografo appassionato di analogico e profondamente legato alle tradizioni popolari. Scatta per passione, spinto dal desiderio di osservare e raccontare il mondo che lo circonda con sincerità e rispetto. La fotografia, per lui, è uno strumento di avvicinamento alle persone e alle storie che rischierebbero di andare perdute nel tempo.
Ama la lentezza e il valore dell’attesa, predilige la luce naturale e i piccoli riti quotidiani. Con la pellicola cerca di restituire immagini autentiche, senza artifici, lasciando spazio al silenzio e alla verità delle cose.